Finalmente
mi ero deciso, è come fare un salto nel vuoto uscire dalla routine
quotidiana, avevo un passato da sportivo che mi era d’aiuto, ma ci
misi più di un anno prima di cambiare.
La
mia nuova casa era finalmente vicina al posto di lavoro.
Basta
fare il pendolare.
Basta
inquinare con la mia vecchia Fiat 600 a benzina, finalmente potevo
realizzare il mio sogno: tragitto casa lavoro in bicicletta.
Rimandavo
sempre al giorno dopo, avevo paura di fatica, vento, pioggia e
soprattutto delle automobili, ma piano piano ho preso forza e
convinzione.
Riprendo
la mia vecchia bici da corsa degli anni ‘90 e la rimetto a posto,
le leve del cambio non vanno più e le sostituisco, compro anche dei
parafanghi per evitare di sporcarmi se l’asfalto è bagnato, da
Decathlon trovo anche catarifrangenti, luci di ogni tipo ed un nuovo
sellino, ma la prima cosa che acquisto è un nuovo casco, quello
vecchio sicuramente aveva superato ogni scadenza tecnica.
Tutto
era iniziare, trovo tre percorsi differenti per compiere quei cinque,
sei chilometri, gli inquilini del palazzo mi notano e ammirano la mia
decisione, al contrario, a lavoro molti rosicano, invidia di cosa?
Si, vero, sotto il punto di vista ambientale e della salute mi sento
superiore a molti miei superiori.
Erano
tre anni prima che Francesco Gabbani vincesse a San Remo cantando
insieme a quella scimmia danzante che richiamava il titolo di un best
seller di divulgazione scientifica.
Una
mattina di febbraio, con la mia bicicletta stavo fermo con il piede
sul pedale semi fissato tramite una cinghietta e l’altro sul
marciapiede che mi serviva come rialzo per poter rimanere seduto
sulla mia nuova sella “antiprostata” incavata al centro, anche
questa novità me la sognavo quando gareggiavo, la cinghietta sui
pedali, invece, mi permetteva il richiamo del pedale anche da dietro
facendo lavorare più fasce muscolari possibili ottenendo quella che
nel gergo ciclistico viene chiamata “pedalata rotonda”.
Più
che attendere il semaforo verde osservavo le auto sfrecciare sulla
strada principale perpendicolare alla mia posizione e quando le vidi
fermarsi, ovvero il semaforo per loro era diventato rosso, ripresi la
mia corsa attraversando quell’ampio incrocio totalmente libero.
Ammetto
di essere passato col rosso, visto che era risaputo in tutto il
quartiere che vi era un ritardo di circa quattro secondi tra i due
semafori, lo sapeva anche la polizia municipale ed in particolare
quel poliziotto prossimo alla pensione che quella mattina voleva
divertirsi un po'.
In
piena curva, poco dopo aver superato l’incrocio, una pattuglia
della municipale mi raggiunge a piena velocità, si affianca, scala
la marcia per frenare e dal finestrino mi dicono di fermarmi.
Accosto
e vedendomi in curva mi metto sul marciapiede con tutta la
bicicletta.
-
Pensi di fare come cavolo di pare solo perché stai in bicicletta?
Avrà
avuto quasi 60 anni, si vedeva che era prossimo alla pensione, magari
era una delle sue ultime pattuglie, al contrario, alla guida c’era
un giovane, che rimase in silenzio, credo provasse un po’ di
vergogna.
-
Ho visto le macchine ferme al semaforo e d’istinto sono partito.
Iniziò
a studiarmi dalla testa ai piedi per poi passare alla bicicletta dove
rimase più tempo ad osservarla.
-
Questo è un veicolo a tutti gli effetti e deve rispettare il codice
della strada, manca il campanello.
-
Il campanello?
-
Si, ha le luci, ha anche i catarifrangenti sulle ruote come previsto
ma manca il campanello.
Il
giovane conduttore si arricciò il naso guardandoci solo con la punta
degli occhi, forse l’anziano poliziotto voleva dimostrargli come si
fa una contravvenzione? Non so, resta il fatto che cercava lo scontro
con me.
Da
giovane avevo letto i testi di Desmond Morris, famoso divulgatore
scientifico sulla sociobiologia umana. La scimmia nuda si svegliò in
me, in quei testi avevo appreso su come comportarsi quando la polizia
ci ferma.
-
Ha perfettamente ragione, ammetto l’irregolarità, manca il
campanello, provvederò oggi stesso, faccia il suo lavoro, ho
sbagliato, pagherò.
-
...Va bene, oggi la lasciamo andare, ma la prossima volta se non è
in regola…
-
Grazie, mi impegnerò per esserlo sempre, a partire dal casco.
-
…Veramente riguardo ai velocipedi l’utilizzo del casco non è
previsto nel codice della strada…
-
Grazie, per sicurezza lo metterò sempre ugualmente ma prima devo
mettermi a posto con il campanello come giustamente mi ha fatto
notare.
I
consigli dell’autore di “La Scimmia Nuda” mi aiutarono ad
evitare la multa.
La
mia vecchia bici da corsa spoglia di tutti gli accessori e
leggerissima come ogni bicicletta competitiva ora ha parafanghi,
catarifrangenti, luci e campanello.
Negli
anni ‘90 ci avevo fatto circa 80.000km e come ogni altro ciclista
professionista, dilettante, amatore o semplice appassionato non avevo
mai avuto problemi di questo tipo ma il codice della strada è
chiaro.
Paradossalmente
se una bici non ha nessun accessorio previsto viene lasciata stare,
ma basta che ha dei parafanghi e si va a cercare tutto il resto fino
al campanello, il casco invece, per quanto sia importante per la
sicurezza, non è obbligatorio.
Nonostante
lo abbia montato ormai da anni non l’ho mai usato, preferisco
urlare se occorre e comunque in caso di pericolo le mani le uso per
frenare e non per suonare, si vero, se capita urlo, in bici mi sento
un po’ animale, le endorfine sprigionate durante lo sforzo fisico disinibiscono liberando l’animale che è in noi. Per fortuna usiamo
sempre l’intelligenza e, come in questo caso, la scimmia nuda che è
in me, in bicicletta come nella vita, sa che per aver ragione bisogna
dar ragione.
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