venerdì 21 ottobre 2011

I capelli di Martina


Martina si pettinava davanti allo specchio, ci passava in media dai 10 ai 15 minuti per sistemare alla perfezione quei capelli che appena uscita ritornavano irrimediabilmente in disordine.
Faceva così ogni sera prima di andare dagli amici e mettersi in mostra.
Aveva 16 anni e la scuola era finita da appena una settimana per le vacanze estive.
I capelli di Martina erano un altro mondo, nessuno ci faceva caso semplicemente perché la cosa sarebbe apparsa assurda.
Si parlavano tra di loro, litigavano, mangiavano, dormivano e facevamo l’amore.
Ogni tanto si prendevano anche il diritto di scioperare e allora quei 10, 15 minuti davanti allo specchio diventavano anche mezz’ora.
Martina credeva che alcuni dei suoi capelli si biforcassero in due come i rami di un albero.
I genitori la chiamavano per liberare l’unico bagno della casa, Martina diceva: «Un attimo che esco», ma quell’attimo non finiva mai.
Martina era persa nei suoi capelli, in quel mondo di parole, voci e contenuti che non sentiva e non percepiva, ma esisteva.
Lo specchio era un lago orizzontale nel quale tuffarsi per cercare di pescare i propri desideri come lucciole inafferrabili.
Un giorno una lucciola desiderio uscì dallo specchio e si mise a fare un comizio dinnanzi a tutti i capelli.
Martina ovviamente non se ne accorse continuando a pettinarsi.
Eppure una parte del suo cervello conosceva già questa situazione.
Uno di quei capelli che si biforcava come un albero preso dal carismatico discorso della lucciola desiderio si ribellò, si staccò dal cuoio capelluto e cadde per terra.
Il capello biforcato come due gambe iniziò a camminare uscendo di casa.
Se ne andò via e non tornò più.
Andò a vivere in Australia dove Martina aveva sempre sognato di andare e li realizzò i suoi sogni trovando lavoro in una riserva naturale nell’entroterra australiano a contatto diretto con canguri ed alcuni koala dolcissimi e molto affettuosi.
Il fatto è che Martina inconsciamente ossessionata dal rito che ogni sera faceva davanti allo specchio, sognò veramente una notte tutto questo, uno di quei sogni dove, come usciti fuori dal corpo, vedi tutta la scena dall’alto.
Quei sogni che, appena svegli, si dimenticano.
E senza rendersene conto la sua mente lo rielaborava ogni volta che si pettinava.


L'illusione di Marco


Marco era nostalgico del passato.
Ricordava l’infanzia come il periodo più bello della vita.
Ogni cosa era una scoperta e Marco in quel periodo ne aveva fatte di scoperte, belle e brutte.
Ora scacciava il presente rifugiandosi nella paranoia.
Lo psicologo gli aveva consigliato di comprarsi una batteria e mettersi a suonare come faceva da bambino.
E così aveva fatto.
Marco aveva avuto delle storie con delle ragazze, prima due universitarie che una volta laureate l’avevano lasciato e poi con una donna vedova dell’est che una volta riuscita a portare la figlia in Italia e ritrovare una certa indipendenza aveva scelto, con una lettera, di dirgli ciò che non sarebbe mai riuscita con le parole.
Ora Marco conviveva con una donna più giovane e sognava un futuro insieme a lei.

Un giorno sono andato a trovarlo e abbiamo fatto una passeggiata.
Dei bambini osservavano quei due adulti che camminavano.
Anche noi da bambini osservavamo gli adulti.
Da bambini sognavamo di essere adulti non allo stesso modo di come noi adulti sogniamo di tornare bambini.
Marco era bambino e la sua vita futura, per come l’aveva vissuta fino ad ora, non l’avrebbe mai sognata.
Non avrebbe mai sognato che tutto questo sarebbe stato una guerra con il mondo e con se stesso.
Un rimettersi in gioco continuamente nei momenti più impensabili, fare scelte e spesso pentirsene, trovarsi nel posto sbagliato per pochi centimetri e perdere il treno giusto per pochi secondi.
Era paranoico per il passato ma faceva bene, nel passato ritrovava la pace, sia nelle esperienze belle che in quelle brutte e Marco voleva la pace.
Ma anche questa era un’altra illusione.
Se il mondo che sognavamo non era questo, da bambini, in verità, non avevamo mai pace ma questo ora non lo vedevamo più.
Era quello il modo migliore per crescere.
Era quello il modo migliore per disilludersi.
Marco, la pace di quel periodo è un’illusione!


lunedì 10 ottobre 2011

settembre, il volo

Cosa sentivo o sentivi tu, cosa sentiva il mondo e cosa sono questi pensieri.
Quella parte del nostro cervello legata all’inconscio, se danneggiata, non è detto che ce ne accorgiamo.
Forse è questo.
Sarà quel sogno fatto o vissuto ieri.
Sarà che non era un sogno perché ora sono vivo.
Sdraiato su un lettino al tepore di una sera di settembre sul balcone di casa al sesto piano, mi è balenata per la mente la convinzione di sognare e di volermi svegliare alzandomi per poi saltare nel vuoto, cadere giù, schiantarmi e... aprire gli occhi
I sogni lucidi sono quei stati onirici dove ci si accorge di sognare.
Ed è così che ci si sveglia dai sogni lucidi.
Ma sapevo che forse non era un sogno.
Ora so che forse sto ancora continuando a sognare.

sabato 8 ottobre 2011

Esiste la libertà ?

piccolo racconto di fantascienza



crick… crick…crick… il rumore di una lametta da barba che seghetta la sbarra di una prigione. 
Già , non so da quanto tempo sono rinchiuso qui, ho tanti vuoti di memoria, so solo che sono giorni che svuoto i 10 cassetti che ho alle mie spalle, in ognuno di essi c’è una razione viveri del sapone e una lametta da barba, un cassetto per ogni giorno, anche se il giorno non lo distinguo dalla notte.. 

All’improvviso da dietro si sente un rumore assordante, ricopro fulmineamente la sbarra seghettata (ci manca ancora poco..), me l’aspettavo comunque, i 10 cassetti sono ormai vuoti, sono venuti per il cambio.. 

Un marchingegno idraulico rimuove i 10 cassetti vuoti e li sostituisce con altrettanti pieni, il tutto in 2 secondi, non vedo nessuno, non ho mai visto nessuno, alla fine si risente il rumore assordante.. già… se ne vanno.. 

Corro subito al primo cassetto, lo svuoto, ho fretta, prendo la lametta nuova, si mi manca poco ancora due colpi, l’avvolgo nello straccio ormai consumato e…. crick..crick..crick… la sbarra si rompe… 

SI CI SONO…. 

LIBERO!!!!!!! 

VIA!!!! 

Esco fuori, ce la faccio a malapena a passare, anche colpa di quel giubbotto ingombrante che ho addosso, sembra di piombo, ma è leggero come gomma piuma.. 
Corro..corro.. scappo non rendendomi conto di ciò che mi circonda, un paesaggio desertico, strano. Chissà in quale posto mi trovo, troverò qualcuno prima o poi, mi riconosceranno per il giubbotto? Questa fuga è inutile? Non lo so, ma devo provare, non ho altre alternative, e così corro, corro, dune e vallate desertiche, non è sabbia, è ciottolame in un terriccio argilloso ma duro, passano prima i minuti, poi le ore, ho paura, ma è il prezzo della libertà, quale libertà? Devo trovare qualcuno, ci sarà qualcuno, ho bisogno di sapere… 

Il tempo passa, era mattina e ora si è fatta notte.. nessuno in giro, solo un paesaggio che varia ma rimane immutato…silenzio…solo silenzio… neanche il sibilo del vento… 

pock…pock.. pock…. Cos’ è questo rumore?? C’è qualcosa oltre quella duna!!! Corro..POCK…POCK…POCK… il rumore è sempre più forte, sono in cima alla duna, finalmente!!!! 

Dall’alto vedo la vallata, tanta gente, tanta, saranno un centinaio,uomini e donne, ragazzi e ragazze, tutti distesi sul terreno ad ammirare il cielo e le stelle come ipnotizzati, già il cielo… chi ha avuto tempo per ammirarlo? Inizio a scendere per la vallata passando tra la gente che mi ignora e continua a guardare in alto, cerco una risposta nei loro occhi, ma non la trovo, sembra che mi ignorino.. 
Alla mia sinistra capisco il motivo di quel rumore, un ragazzo con un grosso martello sta rompendo le cinghie del suo giubbotto, già è grosso e fastidiosissimo, molti già l’hanno fatto. 

Continuo a camminare verso il centro della vallata, lì c’è una ragazza, anche lei distesa, ma è diverso, mi ha notato.. si mi sta guardando!!! Il mio pensiero è forte…Ti prego…. Almeno tu, dimmi qualcosa... 

Nel frattempo il ragazzo con il martello è riuscito a levarsi il giubbotto e per la contentezza fa un salto.. CASPITA!!!! Un salto di 3 METRI!!!!! COME E’ POSSIBILE???? 

Vado verso la ragazza, sono davanti a lei, la guardo negli occhi, lei mi guarda, gli chiedo con gentilezza e con una calma che non so come riesco a controllare… DOVE SONO? Lei sorride e con una mano mi indica alla mia destra, volto lo sguardo e vedo una bandiera piantata sul suolo, la riconosco, è la Bandiera Americana… poi sempre con la stessa mano dolcemente inizia ad indicarmi il cielo dicendomi “GUARDA IN ALTO..” .. volto lo sguardo alle stelle ed in mezzo vedo un pianeta azzurro, lo riconosco, è la Terra. 

La Luna, già….Mi trovo sulla Luna… Esiliato sulla Luna… 

Il Cartomante

Sedeva su un piccolo sgabello dinnanzi ad un tavolino con una sottilissima tovaglia azzurra, al lato una sedia ripieghevole per gli eventuali clienti.
Indossava un pesante cappotto e dei guanti di lana bucati che toglieva prima di eseguire una lettura delle carte.
Il freddo penetrava quel pesante abbigliamento e si fermava poco prima di giungere alla pelle.
Mescolare quelle carte era come rimettere tutto in gioco e fare nuove associazioni di interpretazioni e idee.
Prevedere il futuro era sempre stato l'antico sogno vecchio tanto quanto lo era l'umanità e quell'antico pseudo calendario egiziano distribuito su papiri che poi la storia e le culture avevano trasformato biforcando le strade del suo destino ora si ritrovava su quel tavolo diviso in 78 carte tra arcani maggiori e minori.
Uno dei dilemmi dall'antichità ad oggi era appunto comprendere il tempo, misurarlo e prevederlo, non riuscire a separare le due cose e confondersi, il calendario vedeva il futuro, ma lo interpretava? Quelle carte certo che lo interpretavono era solo questione di fede.
La vita caotica e imprevedibile acquistava valore e senso dal momento che inconsciamente venivano selezionati eventi collegabili e dimenticato tutto il resto.
Mischiare le carte era come dare senso alla vita, il principio era lo stesso, interpretare le casualità e dargli logicità.
Ma il cartomante questo non lo sapeva, non lo avrebbe mai accettato, lui credeva fermamente in ciò che faceva giungendo così allo stesso razionale risultato.
Un uomo sui 40 anni si avvicinò, si sedette e chiese un consulto, un altro che seguiva a pochi metri leggermente più giovane notò la scena e sorrise, portava con se una valigetta 24 ore e nell'altra mano 3 riviste di finanza, era uno speculatore finanziario informato su tutto sempre al telefono tramite auricolare con amici e colleghi che gli chiedevano consultazioni.
Guardò quell'uomo seduto e con ironia, meraviglia e anche un pò di sdegno frettolosamente proseguì con passo veloce raccontando il divertente episodio al telefono all'amico di turno che lo aveva chiamato per il solito consulto finanziario.
Il cartomante aveva iniziato la sua interpretazione delle carte, aveva intuito che c'era un problema di soldi e l'uomo seduto infreddolito e timidamente sincero spiegò le sue avventure e sventure nella falsa fede delle previsioni economiche dei mercati mai azzeccate nei lunghi periodi dai migliori analisti del mondo.
Si perchè se l'economia fosse prevedibile sarebbe troppo facile diventare ricchi!
Il tutto si svolgeva nei pressi di una piazza dove alcuni ricercatori con le dovute apparecchiature scientifiche studiavano i movimenti degli stormi in volo, armoniose geomotrie ricche di curve nelle quali si riscontravano le stesse somiglianze caoticamente organizzate degli andamenti economici come di tutti quei complessi modelli di comportamento sociale.
I ricercatori si divertivano a paragonare i movimenti dei singoli uccelli agli agenti di borsa quando tutti insieme decidono all'improvviso di vendere o comprare azioni.
Imitazioni nel volo come nella compravendita azionaria o nella fuga da un immediato pericolo dettate dall'imprevedibile evento e soprattutto dall'imprevedibile leader circostanziale di turno dal quale parte l'imitazione in misura sempre statisticamente diversa.
Il cartomante non sapeva che statisticamente si veniva da lui soprattutto per problemi di soldi o di amore e che spesso le due cose erano legate, non accettava il fatto che i suoi clienti erano semplici curiosi o disperati, faceva il suo lavoro nella piena convinzione che avrebbe avuto un qualsiasi uomo politico nelle sue promesse e nelle sue visioni.
Il futuro in effetti acquistava senso solo dopo che diventava passato, solo allora la selezione inconscia degli eventi di comodo si correlava cercando di combaciarsi con quelle previsioni a larghe vedute piene di interpretazioni differenti e soprattutto plasmabili al proprio compiacimento, era solo questione di fede.
Ma questa non era una caratteristica esclusiva alla cartomanzia, anzi, la vita di ogni singolo essere umano funzionava così, far tornare i conti.
E mentre ascoltava i consigli del cartomante il quarantenne disperato girò lo sguardo verso quell'uomo che si allontanava parlando al telefono, riconobbe quelle riviste di finanza ma siccome occupato e soprattutto non conoscendolo lo lasciò andare.
Aveva tanta voglia di bloccarlo e dirgli di provare ad andare da un cartomante per farsi consigliare prima che sia troppo tardi.
E così l'anno dopo successe, in seguito ad una imprevedibile forte perdita.
Quell'uomo che sfotteva parlando al telefono si ritrovò a combattere con la propria situazione disastrosa tra amici e colleghi che lo chiamavano per maledirlo e la moglie che chiedeva il divorzio causa uno sfratto.
In cerca di facili speranze anche lui si rivolse dal cartomante e le sue 78 carte casualmente mischiate proprio come gli eventi della vita.
Il cartomante aveva intuito che si trattava di un problema finanziario, diede i suoi consigli e nel bisogno di illusioni furono ascoltati.

Riccardo e Sara




La solitudine

Avevano appena parcheggiato la macchina sulla solita collinetta, un posto desolato e romantico, si vedevano le luci della città che creavano quell'alone illuminato che pian piano svaniva per lasciar posto alle stelle.


Le strade da quella vista erano armoniose curve che serpeggiavano tra i dolci rilievi della zona.

Riccardo e Sara spesso si appartavano li, parlavano, si baciavano e poi facevano l'amore.


Era un posto tranquillo, frequentato solo da coppiette, ognuno aveva la sua privacy, nessuno disturbava, un posto così romantico non era certo meta di disturbatori.



Nella loro intimità sentirono in lontananza l'arrivo di una macchina che posteggiò a circa dieci metri da loro, si sentì il freno a mano tirare e lo stereo accendersi, era una canzone melodica, malinconica, d'amore.
Scorgendosi dal finestrino notarono nella macchina solo un ragazzo che guardava il panorama, fumando una sigaretta, ed ascoltando la musica.

Finita la canzone riparte dall'inizio, era messa in loop, poi riparte una terza volta e alla fine il ragazzo se ne va via malinconico.


Riccardo e Sara, riflettono e si parlano, parlano della loro fortuna nell'essere innamorati, nel non essere soli, sentirsi forti, unici ed invincibili.
Pensano alla solitudine come una brutta cosa, a quel ragazzo malinconico che aveva passato qualche minuto da solo in compagnia della musica e di un panorama romantico come inutile compensazione di un amore mancato, sfuggito, scappato, rapito, volato via, forse mai esistito.
I due si parlano, si stringono forte e non vorrebbero mai staccarsi.

Stringendosi si sentono come parte unica e inattaccabile, protetti forte da quel loro guscio che li separa da un mondo falso, bugiardo, ipocrita, banale, caotico, vigliacco, demenziale, assurdo, forse immaginario, illusivo, inesistente.


Il ragazzo sceso dalla collina torna in città dove lo aspettano tanti amici e amiche, presto si innamorerà di una ragazza della sua vastissima comitiva, si sposerà e avrà  tre figli, uno di loro diventerà il capo della stazione lunare che verrà costruita e sarà l'orgoglio della bellissima famiglia.



Riccardo e Sara più tardi scendono giù dalla collina, in un futuro molto vicino si lasceranno, lei conoscerà un tipo stravagante sul treno andando a lavoro, lui tornerà ad essere solo come è sempre stato, vagherà la notte per la città non riuscendo a dormire sfuggendo agli sguardi come se non esistesse nient'altro che se stessi.



Ma anche Sara è una ragazza sola, aveva Riccardo, avrà un altro che la farà tanto soffrire e oltre... il nulla.

Sola ed illusa di aver intrappolato il tutto in una persona che non sarà mai eterna di natura.

Ma tutto questo loro ora non lo pensano, scendendo dalla collina riflettono su quel ragazzo solo e malinconico e sulla loro fortuna di sentirsi eternamente innamorati.

La catena alimentare

C'era un sasso, un piccolissimo sasso, oggetto inanimato spostato dalla sua posizione originaria da una piccola pianta che nascendo lo aveva capovolto.
C'era questa pianta che crescendo alimentandosi di sali minerali della terra ed energia solare ma soprattutto divorando anidride carbonica, espelleva ossigeno a lei nocivo.
C'era un giardino pubblico e su una panchina vi era Chiara che piangeva, era stata appena lasciata dal ragazzo.
Chiara aveva 15 anni, una ragazzina sveglia ed in gamba, tutti voti altissimi a scuola, ma era sensibile alle emozioni ed i forti sentimenti che provava.
Poco lontano passeggiava Paolo, 35 anni, era appena stato licenziato e con un mutuo ancora da pagare pensava anche al suicidio.
Inoltre in lontananza si poteva vedere Elena, una ragazza di 22 anni, era triste, aveva una vita tranquilla, un ragazzo simpatico che le aveva appena fatto un bellissimo e costosissimo regalo e una buona famiglia, eppure Elena soffriva, sentiva di non appartenere a questo mondo, sentiva le proprie decisioni o anche semplici opinioni fonte di sofferenza anche perchè tentativi inutili di ricerca di una verità assoluta irraggiungibile di natura.
Elena era depressa per il semplice fatto di vivere.
Quel piccolissimo sassolino appartenente al mondo minerale calpestato anche da Paolo che passeggiava sprofondò nella terra ancora fresca di primo mattino.
La pianta fu solo sfiorata e continuò lentamente a nutrirsi di sali minerali, energia solare ed anidride carbonica liberando ossigeno grazie al quale ChiaraElena e Paolo vivevano.
La realtà era anche un continuo passaggio e scambio di energie da un mondo inanimato come la terra ed i suoi sali minerali fino ad arrivare a persone con fortissimi sentimenti passando per le piante e la loro fotosintesi.
Era questa la realtà che il mondo conosciuto dai tre ragazzi era in grado di comprendere, oltre non poteva esserci nulla allo stesso modo di come il sassolino non comprendeva e la pianta non era a conoscenza di espellere ossigeno che faceva vivere il mondo animale.
Il mondo che era in grado di comprendere solo se stesso non poteva mai immaginare se non con inutili tentativi dove finivano le emozioni di ChiaraElena e Paolo.
Tutto aveva una forma diversa se visto con altri occhi e pensato con altre menti, ma di certo non erano occhi, non erano menti.
Dei tre ragazzi, l'unica che si avvicinava di più a questa concezione della possibile realtà era la cervellotica Elena, nessun problema grave, una buona famiglia ed un ragazzo premuroso ma anche una grossa crisi esistenziale, Elena sospettava di liberare energie non scientificamente misurabili che non venivano disperse e nell'impossibilità di dimostrare l'indimostrabile ogni volta che entrava in crisi e soffriva sussurrava a "loro", entità forse immaginarie ma di sicuro inimmaginabili...  :"...Buon pranzo...".

La partenza

Ieri non ho lavorato, mi sono preso un giorno di ferie e così sono stato in banca per chiudere il conto.
Ho ritirato tutto e adesso cambio vita, ora esco di casa e non tornerò più indietro.
Chiuderò la porta e lascerò la chiave al portiere, lui già sa cosa fare.
Queste mura, queste stanze, questo letto, tappeti, quadri e molto altro ancora faranno parte del passato, saranno il futuro per chi verrà a vivere al posto mio, io starò dall'altra parte del mondo.
L'aereo mi aspetta, non posso fare tardi, domani mi sistemo nel nuovo paese e dopodomani inizio a lavorare, è tutto programmato, parlerò sempre meglio la nuova lingua, sognerò con il nuovo linguaggio, non si torna indietro.
....
Eccomi arrivato all'areoporto, in anticipo come sempre, sicuro, determinato, orgoglioso di me, da quel giorno, circa sei mesi fa che presi la decisone, azzardata, coraggiosa e logica, sei mesi in crescendo con le convinzionie e la determinazione, bisognava cambiare aria e ricominciare da zero.
Ecco il mio aereo, lo vedo, mi porterà lontano, mi farà dimenticare, sognare, ridere e piangere, mi farà vivere!!
Con il biglietto tenuto stretto tra le due mani aspetto impaziente, non mi sono portato bagagli, non mi servono, penso a quella telefonata di ieri appena uscito dalla banca che ha sconvolto i piani, uno dei capi, non so quale, si è svegliato e ha deciso di mettere una firma, è capitata sul mio nome e non ne so neanche il motivo, sicuramente per sbaglio, ciò che doveva essere la fine di un ciclo, il ricominciare da zero, prendi i soldi e vattene, si è trasforformato in una conferma delle mie capacità, il credere in qualcuno che neanche si conosce, me, un caso? Sicuramente, un caso...
L'aereo parte, lo vedo alzarsi ma io rimango a terra, strappo il biglietto, e piano piano sempre più in alto e più piccolo se ne va via lontano.
Mi sono visto affacciato a quel finestrino, ho anche visto l'asfalto scorrere sempre più velocemente per poi allontanarsi, stavo dentro l'aereo.
Io che ora sto partendo per una nuova vita.
Io che torno a casa chiedendomi sulla casualità di quella telefonata.

Uno strano sogno

Facevo sempre lo stesso sogno.
Non sempre, ma spesso.
Sognavo un castello, sapevo che era un castello soprattutto per quella volta che l'ho sognato dall'esterno, solo una volta è successo.
Quasi ogni notte vagavo per quelle stanze, quell'enorme salone centrale e tutte quelle candele accese ai muri che illuminavano.
Non c'era nessuno, solo io e la sensazione di pace, il vento che entrava gonfiando quelle enormi tende bianche e sottili.
Otto mesi interi a fare lo stesso sogno.
La scorsa estate sono stato in Scozia vicino Edimburgo, pioveva sempre, un giorno presi la mountain bike ed inizia a girare per le campagne rapito dal paesaggio.
Alla fine di un lungo sentiero in discesa ecco una vallata e poi una dolce collina e.. ecco... il mio castello, quello dei sogni, si, identico..
Senza paura mi avvicinai e inizia incuriosito a bussare forte sul portone.
Mi apri un distinto signore con la divisa da maggiordomo, aveva uno sguardo fisso e perso allo stesso tempo come se fissasse un ipotetico mio occhio centrale alla fronte e disse:
- Buongiorno Signore in cosa potrei esserle utile?
- ..scusi.. chi ci abita in questo Castello?
- Nessuno Signore, è un Castello disabitato da secoli, anzi.. è un Castello stregato... Ma Lei dovrebbe saperlo benissimo visto che ne è il Fantasma... 
  


Romeo & Giulietta

Tratto da un noto enigma sul pensiero laterale




La porta era chiusa.

Una stanza semplice, una finestra anch'essa chiusa dall'interno, un tavolo, un armadio, frammenti di vetro a terra vicino e sotto al tavolo, il pavimento bagnato, pozze d'acqua qua e la e.. Giulietta e Romeo a terra morti.

Il gatto bagnato ed impaurito con la coda ingrossata dallo spavento in cima all'armadio con i suoi occhi spalancati, le pupille dilatate, osserva la scena, vorrebbe scendere, ma ha paura, quelle pozze d'acqua, ancora un fisso ricordo della scena appena vissuta, vedere Giulietta e Romeo morire, il loro respiro farsi sempre più lento ed affannato, guardarsi negli occhi come persi nel vuoto di un mondo che non è più il loro..

Erano innamorati? Certo che lo erano il loro unico e semplice universo, una sfera di cristallo, rinchiusi nelle proprie sensazioni trascorrevano il tempo uno accanto all'altra, imprigionati dal reciproco sguardo e circondati da riflessi di un mondo forse apparente, irraggiungibile, pericoloso, era bello così.

Ora Giulietta e Romeo hanno toccato quel mondo, l'hanno vissuto soffrendo fino a morire, inaspettatamente il fato è piombato dall'alto, una zampata, uno sfregio, artigli affilati sul loro universo.
Giulietta e Romeo erano due pesciolini rossi

L'orologio di Michela

Michela aspettava nella stanza d'attesa.

Sentiva il cuore battere nel silenzio e sapeva che ogni battito era un frammento di tempo che passava.
Aspettava impaziente che si aprisse quella benedetta porta, voleva uscire e vedere il mondo.
Troppo tempo era trascorso, così tanto che non sapeva neanche quando tutto era iniziato, i ricordi si perdevano nel nulla, un aritroso andare indietro, ed ogni frammento di tempo sempre più lungo, sempre di più, fino al punto che quel primo secondo fosse lungo un'infinità.. ma in fondo neanche erano ricordi. Michela non poteva ricordare, non era neanche capace di veder mutare il suo corpo dal nulla al tutto, solo l'eternità poteva passare dal nulla al tutto, un'eternità racchisa in un tempo predefinito.
Michela aveva visto nascere il tempo e non sapeva che da li fino a poco meno o poco più 100 anni sarebbe finito tutto.
La porta si aprì ed il tempo riprese a scorrere partendo da Zero ma in modo diverso.
Trenta anni dopo Michela si chiese quanti modi potessero esistere di percepire il tempo, riprese vecchie foto che la ritraevano neonata, bambina, adolescente e donna, e notò la differenza nella definizione delle immagini.
Capovolse quella vecchia clessidra che teneva sul tavolo e si mise ad osservare la sabbia scorrere e cadere verso il basso, iniziò a pensare: "...è la forza di gravità, la usiamo anche per misurare il tempo".. eppure mentre diceva queste parole non si rendeva conto che in effetti la forza di gravità è legata alla massa del pianeta e masse diverse hanno un diverso trascorrere del tempo. Eppure il paradosso vedeva questo principio funzionare al contrario con la clessidra, masse enormi rallentano il tempo, al contrario la sabbia scende più velocemente.

Michela prese anche alcune foto del suo ragazzo e pensava al giorno prima che era andata a trovarlo in ospedale in pessime condizioni di salute pensando di dover fare qualsiasi cosa per lui, anche donare qualcosa di lei, ma in fondo sapeva che sarebbe guarito in fretta, i medici l'avevano rassicurata, quello che non sapeva era che da lì ad un anno si sarebbe sposata con un altro ragazzo che avrebbe conosciuto tre giorni dopo sul treno.

Riprese il vecchio Diario sul quale non scriveva da almeno 10 anni ed aggiunse una riga:
"Anno duemilasettantacinque, eccomi di nuovo qui caro vecchio Diario..".

Michela deve ancora nascere ma il suo orologio ha una lunga storia, apparteneva ad un uomo nato nel 1890, un lontano antenato vivo ora che scrivo ma non c'è più ora che leggete.

Prese l'orologio, allentò la vecchia vite centrale ed incuriosita vedendo le lancette immobili pensò al tempo come se si fosse fermato.

Quel tempo che è stato, che sarà, che è, che non è mai stato e mai sarà, Michela non sapeva di non esistere al di là della propria convinzione di vivere il mondo che percepiva: spazio, tempo ed informazioni varie.
Quella convinzione che non è di certo sicura neanche dentro me che ho cercato di dare un senso a Michela.

Intanto l'orologio ha ripreso a scandire il tempo.

La bambola



Ogni giorno passava davanti alla vetrina del negozio di giocattoli, non sapeva aspettare, il giorno del suo compleanno si avvicinava ma Cristina, vestita con un bellissimo vestito a fiorellini, non se ne rendeva conto più di tanto, sapeva solo che ogni giorno che passava si avvicinava.

Era una bambola bellissima con un grembiulino bianco posta in vetrina su uno sfondo a tema, due genitori disegnati su un compensato che l'accompagnavano a scuola, il papà sorridente in giacca e cravatta con in mano una valigetta e la mamma leggermente più avanti rivoltata verso lei come se gli parlasse, più in là la si legge la parola "Scuola" scritta in grande su una casetta bianca col tetto rosso.

Cristina ogni giorno aveva il suo appuntamento davanti alla vetrina, osservava la sua futura compagnetta pensando a quando sarebbero state per sempre amiche di giochi, la guardava ipnotizzata con gli occhi immobili, rapita da fantasie di gioco proiettate in un futuro tutto da scoprire ed intorno a se il mondo che credeva di conoscere spariva.
Dare un'anima, una voce, delle sensazioni a quel pezzo di plastica non erano altro che elaborazioni percettive della soggettiva bellezza, armonia di forme, colori e contesti che Cristina vedeva, sentiva, viveva.
Associazioni di idee che la spingevano oltre la realtà in desideri, sogni e aspettative dei suoi 7 anni, scoprire il mondo e dargli senso non solo attraverso i consigli, gli ordini e i "non si fa", ma anche imparando a decidere, scindere tra giusto e sbagliato, comunicare e ricevere consensi e tutto questo lo poteva fare benissimo con un giocattolo.
Era bello mischiare i due mondi, quello reale in frenetico movimento e quello immobile dei giocattoli dove era lei dargli dinamicità.
Era bello ricevere quelle sensazioni racchiuse in un attimo nel quale incrociava lo sguardo con la bambola e si sentiva felice e viva, come se i ricordi del passato e i desideri del futuro si fossero fusi in quei pochi secondi di contatto visivo.

Cristina è ferma davanti a quel vetro con la mano in alto come per salutarla prima di andare via.
I suoi riccioli biondi e ben pettinati, il suo sorriso stampato, quel vestito a fiorellini e quella manina piccola che saluta, immobile e ferma come una statua, incredibile come tutta questa vita e dinamicità non erano altro che il senso racchiuso nelle forme di un freddo pezzo di plastica al quale si era dato un nome.

Al di la del vetro Elisa pensa che presto sarà il suo compleanno mentre si allontana andando a scuola con un grembiulino bianco accompagnata dai suoi genitori, il papà sorridente in giacca e cravatta con in mano una valigetta e la mamma leggermente più avanti rivoltata verso lei che gli dice: «Elisa, veloce che fai tardi!»
Elisa in lontananza legge la parola "Scuola" scritta in grande su una casetta bianca col tetto rosso e la sa che ci sono tanti altri compagnetti reali che l'aspettano, saluta la bambola dai riccioli biondi ed il bellissimo vestito a fiorellini con quella manina ferma ed immobile in alto e nella sua testa sente dire... ciaociao..