Tornando dopo la visita dal dermatologo
Erika passò in farmacia per prendere, come da ricetta, una pomata
con bassa ma efficace percentuale di cortisone, ottima per alleviare
il prurito e far scomparire quelle crosticine sui gomiti che il
medico aveva diagnosticato come psoriasi provocata, oltre che da
predisposizione genetica, da stati emotivi e stress (lo stesso medico
gli aveva consigliato i cercare un bravo psicologo ed avvalersi anche
del suo aiuto per risolvere problemi del genere).
Anche Valentina aveva un problema
simile sulle mani (disidrosi, un mix di allergie e stress anche se le
cause di questa malattia non erano ancora del tutto note), Valentina
al contrario di Erika vedeva la medicina ufficiale con i suoi veleni
(cortisoni, vaccini e farmaci vari) inappropriata per il benessere
del corpo.
Valentina sosteneva le medicine
olistiche ed alternative, credeva nell’omeopatia e dopo una lunga
visita ad un centro specializzato si affidò a quelle pilloline di
zucchero che non potevano essere toccate con le mani, buttò i soldi
in flaconcini colorati che le contenevano indicanti nomi in latino,
veleni che in dosi così minime da esistere solo nella fantasia e
nell’ignoranza curavano secondo il principio del male simile che
cura il male simile.
Erika era la razionalità, Valentina
l’istinto e la fantasia estrema, per questo si trovavano bene
insieme, anche se si confrontavano spesso e aspramente su questi
argomenti.
Tornate a casa si riaccese il dibattito
su quale fosse la medicina da seguire ed i relativi soldi da
spendere. A chi credere? Che ragionamenti fare? Litigarono per poi
più tardi a letto fare l’amore.
Erika e Valentina si amavano anche se
erano convinte delle proprie idee, idee contrastanti, una si
avvelenava veramente per far scomparire i sintomi, l’altra credeva
di curasi con del veleno preso in dosi microscopiche ma in realtà
ingoiava solo zucchero e comunque gli obiettivi dell’omeopatia
erano ben più nobili: non la scomparsa dei sintomi come faceva il
cortisone ma la cura completa!
Il vero male, nel loro caso, oltre ad
una predisposizione genetica, era semplicemente lo stress al quale le
due ragazze erano sottoposte nella vita di tutti i giorni travolte
dalle aspettative che la società imponeva senza lasciare un attimo
di serenità.
La dottoressa specializzata in
omeopatia aveva trattenuto Valentina per quasi due ore analizzandola
da cima a fondo anche a livello psicologico, ad un certo punto
credeva di aver capito lo squilibrio della ragazza fossilizzandosi
sulla sua sessualità, Valentina ci mise molto a farle capire che non
era quello il problema e mai poteva esserlo visto che lo viveva con
serenità e gli recava solo felicità.
Valentina guarì in una settimana,
l’idea dell’omeopatia aveva fatto centro, le mani tornarono
lisce, scomparvero le screpolature ed in fondo non importava come.
Certamente era un’idiozia quel
flaconcino di color arancione acceso con su scritto “Sulphur”,
zolfo.
Lo stesso zolfo che usato sui
fiammiferi dava il fuoco, quel fuoco che come prurito bruciava la
pelle screpolandola e irritandola come ustionata, era anche lo zolfo
che se ingerito risultava velenoso ma, usando il principio del male
simile che curava il male simile - l’essenza dell’omeopatia -
veniva diluito all’infinito fino a scomparire in pilloline di
zucchero.
Erika sapeva che sarebbe stato bello
guarire solo con un’idea, ma lei era troppo razionale per questo
tipo di medicina, non ci credeva…
Finché una notte si svegliò
all’improvviso con quella idea, la malattia era un’idea, Erika
nel dormiveglia come autoipnotizzata immaginò di arrampicarsi su un
albero, staccare da un ramo il frutto più bello ed aprirlo con le
mani, all’interno al posto del nocciolo vi era proprio quel
flaconcino omeopatico color arancione che tra i tanti visti nel
cassetto di Valentina più gli aveva stimolato la fantasia. Immaginò
di svitare il coperchio e senza toccarne con le dita il contenuto
posò l’apertura dell’involucro sulle labbra, quelle piccole
palline di zucchero iniziarono a scivolare nella bocca, le sentiva,
neanche il tempo di masticarle che già si scioglievano, deglutì
tutto di un fiato e suggestionata sentì veramente il dolce in bocca
arrivare fino allo stomaco. Fece questo ogni notte per una settimana,
l’idea di svegliarsi in piena notte era così forte tanto quella di
guarire. Erika si svegliava e saliva sull’albero, si svegliava
perché quella era l’ora della medicina ma soprattutto perché
voleva guarire con la stessa idea che aveva fatto guarire il suo vero
ed unico amore, Valentina.
La pomata al cortisone fu messa da
parte e solo dopo una settimana i pruriti e le crosticine sui gomiti
sparirono, forse era l’amore della ragione di Erika per il mistico
di Valentina, questa almeno era l’idea platonica e sentimentale che
si era data, la forte razionalità la spinse però a pensare più
alla straordinaria forza della suggestione e dell’effetto placebo,
con Valentina aveva funzionato, perché non doveva funzionare anche
con lei aiutandosi ulteriormente con i sogni?
L’idea di una cura era una semplice
idea come la malattia.