giovedì 28 giugno 2018

La proprietà emergente



Siamo a primavera inoltrata, inizia a fare caldo ma la notte il fresco si avverte, Sara e Tommaso litigano a letto.
- Amore chiudi la finestra dai.
- Cara fa caldo, si soffoca, poi verso l’una mi sveglio e la chiudo.
- Tommaso, se dormi come un ghiro e non ti svegliano neanche le cannonate.
- Tranquilla mi sveglio..
- Daiii che sento freddo, chiudiii.
- Sara, sono io che sto vicino alla finestra e sto morendo dal caldo, come fai a sentire freddo.

I due ragazzi vivono in corpi differenti, alla stessa identica temperatura Sara ha freddo mentre Tommaso sente caldo, si addormentano con la finestra aperta.
A mezzanotte e mezza, mentre Tommaso dorme, Sara si sveglia e va a chiudere la finestra, nel buio inciampa su una pantofola di Tommaso che si sveglia.
- Senti freddo tesoro?
- Si sono ghiacciata.. Brr.. senti, sono un cubetto di ghiaccio.
Appena la ragazza ritorna a letto Tommaso mette le mani sulla sua schiena ed inizia a massaggiarla.
- Tra un po’ sentirai caldo.
- Si, vero, le tue mani mi scaldano.
- Non proprio, strofinando agito le molecole sul tuo corpo e così senti calore, allo stesso modo un cubetto di ghiaccio ha poca agitazione molecolare mentre se lo mettiamo in una pentola sul fuoco evapora, l’agitazione molecolare è così alta da far mandare l’acqua sin su le nuvole.
- Sulle nuvole?
- Si, li si condensa e poi piove.
- E noi sotto la pioggia...
- Si, sotto la pioggia, dormi amore…
Sara si riaddormenta sorridendo.
- E’ una proprietà emergente, - dice Tommaso, - la temperatura non esiste, in natura esiste l’agitazione molecolare e da li noi percepiamo la temperatura...
Sara, con il sorriso stampato in faccia, si rivolta, tiene ancora gli occhi chiusi, è nel dormiveglia, senza aver preso coscienza dei concetti espressi dal suo ragazzo gli è bastata la voce per farla voltare verso di lui.
Tommaso la guarda, nel penombra contempla i suoi lineamenti, gli accarezza i capelli e lievemente gli soffia sulla fronte, Sara riapre gli occhi ed accentua il sorriso.
- Mi ero addormentata, cosa hai detto amore?
Tommaso sorride.
- Parlavo del caldo, del freddo, tutte illusioni, scambiamo l’agitazione molecolare per temperatura.
- Anch’io per te sono un’illusione?
- No amore, tu sei vera
- Non posso essere un’illusione se vicino a te mi sento viva.
- Beh, per molti neurobiologi anche la coscienza è una proprietà emergente della complessità delle interazioni dei neuroni, delle nostre molecole, del corpo e dell’ambiente circostante che percepiamo attraverso i nostri sensi…
-...Quante cose sai amore.. - Sara si stringe a Tommaso, lo guarda in faccia, sorride e continua: - ...Ci proviamo ora?
- Provare cosa amore?
- ...ci proviamo ora a fare un bambino?
Tommaso rimane spiazzato, nel suo cervello pensieri ed istinti contrastanti si scontrano e alcuni si fondono fermandogli il respiro, dopo due secondi abbraccia forte la sua ragazza e gli dice: - Ti amo amore.
- Mi ami d’avvero?
- Ti amo tanto, tanto, tanto.
I due ragazzi si baciano, si accarezzano e piano piano iniziano a fare l’amore.
Tommaso all’istante ha deciso di fare quel passo decisivo e fa bene, al contrario di quanto fatto prima, a non pensare che anche questa volta vale lo stesso discorso, ovvero la natura spinge esclusivamente alla riproduzione per l’evoluzione della specie ed in fondo anche l’amore è una proprietà emergente.

Se la vita è un’illusione sicuramente è una bellissima illusione.



martedì 26 giugno 2018

La scimmia nuda in bicicletta



Finalmente mi ero deciso, è come fare un salto nel vuoto uscire dalla routine quotidiana, avevo un passato da sportivo che mi era d’aiuto, ma ci misi più di un anno prima di cambiare.
La mia nuova casa era finalmente vicina al posto di lavoro.
Basta fare il pendolare.
Basta inquinare con la mia vecchia Fiat 600 a benzina, finalmente potevo realizzare il mio sogno: tragitto casa lavoro in bicicletta.
Rimandavo sempre al giorno dopo, avevo paura di fatica, vento, pioggia e soprattutto delle automobili, ma piano piano ho preso forza e convinzione.
Riprendo la mia vecchia bici da corsa degli anni ‘90 e la rimetto a posto, le leve del cambio non vanno più e le sostituisco, compro anche dei parafanghi per evitare di sporcarmi se l’asfalto è bagnato, da Decathlon trovo anche catarifrangenti, luci di ogni tipo ed un nuovo sellino, ma la prima cosa che acquisto è un nuovo casco, quello vecchio sicuramente aveva superato ogni scadenza tecnica.
Tutto era iniziare, trovo tre percorsi differenti per compiere quei cinque, sei chilometri, gli inquilini del palazzo mi notano e ammirano la mia decisione, al contrario, a lavoro molti rosicano, invidia di cosa? Si, vero, sotto il punto di vista ambientale e della salute mi sento superiore a molti miei superiori.

Erano tre anni prima che Francesco Gabbani vincesse a San Remo cantando insieme a quella scimmia danzante che richiamava il titolo di un best seller di divulgazione scientifica.
Una mattina di febbraio, con la mia bicicletta stavo fermo con il piede sul pedale semi fissato tramite una cinghietta e l’altro sul marciapiede che mi serviva come rialzo per poter rimanere seduto sulla mia nuova sella “antiprostata” incavata al centro, anche questa novità me la sognavo quando gareggiavo, la cinghietta sui pedali, invece, mi permetteva il richiamo del pedale anche da dietro facendo lavorare più fasce muscolari possibili ottenendo quella che nel gergo ciclistico viene chiamata “pedalata rotonda”.
Più che attendere il semaforo verde osservavo le auto sfrecciare sulla strada principale perpendicolare alla mia posizione e quando le vidi fermarsi, ovvero il semaforo per loro era diventato rosso, ripresi la mia corsa attraversando quell’ampio incrocio totalmente libero.
Ammetto di essere passato col rosso, visto che era risaputo in tutto il quartiere che vi era un ritardo di circa quattro secondi tra i due semafori, lo sapeva anche la polizia municipale ed in particolare quel poliziotto prossimo alla pensione che quella mattina voleva divertirsi un po'.

In piena curva, poco dopo aver superato l’incrocio, una pattuglia della municipale mi raggiunge a piena velocità, si affianca, scala la marcia per frenare e dal finestrino mi dicono di fermarmi.
Accosto e vedendomi in curva mi metto sul marciapiede con tutta la bicicletta.

- Pensi di fare come cavolo di pare solo perché stai in bicicletta?

Avrà avuto quasi 60 anni, si vedeva che era prossimo alla pensione, magari era una delle sue ultime pattuglie, al contrario, alla guida c’era un giovane, che rimase in silenzio, credo provasse un po’ di vergogna.

- Ho visto le macchine ferme al semaforo e d’istinto sono partito.

Iniziò a studiarmi dalla testa ai piedi per poi passare alla bicicletta dove rimase più tempo ad osservarla.

- Questo è un veicolo a tutti gli effetti e deve rispettare il codice della strada, manca il campanello.
- Il campanello?
- Si, ha le luci, ha anche i catarifrangenti sulle ruote come previsto ma manca il campanello.

Il giovane conduttore si arricciò il naso guardandoci solo con la punta degli occhi, forse l’anziano poliziotto voleva dimostrargli come si fa una contravvenzione? Non so, resta il fatto che cercava lo scontro con me.
Da giovane avevo letto i testi di Desmond Morris, famoso divulgatore scientifico sulla sociobiologia umana. La scimmia nuda si svegliò in me, in quei testi avevo appreso su come comportarsi quando la polizia ci ferma.

- Ha perfettamente ragione, ammetto l’irregolarità, manca il campanello, provvederò oggi stesso, faccia il suo lavoro, ho sbagliato, pagherò.
- ...Va bene, oggi la lasciamo andare, ma la prossima volta se non è in regola…
- Grazie, mi impegnerò per esserlo sempre, a partire dal casco.
- …Veramente riguardo ai velocipedi l’utilizzo del casco non è previsto nel codice della strada…
- Grazie, per sicurezza lo metterò sempre ugualmente ma prima devo mettermi a posto con il campanello come giustamente mi ha fatto notare.

I consigli dell’autore di “La Scimmia Nuda” mi aiutarono ad evitare la multa.
La mia vecchia bici da corsa spoglia di tutti gli accessori e leggerissima come ogni bicicletta competitiva ora ha parafanghi, catarifrangenti, luci e campanello.
Negli anni ‘90 ci avevo fatto circa 80.000km e come ogni altro ciclista professionista, dilettante, amatore o semplice appassionato non avevo mai avuto problemi di questo tipo ma il codice della strada è chiaro.
Paradossalmente se una bici non ha nessun accessorio previsto viene lasciata stare, ma basta che ha dei parafanghi e si va a cercare tutto il resto fino al campanello, il casco invece, per quanto sia importante per la sicurezza, non è obbligatorio.
Nonostante lo abbia montato ormai da anni non l’ho mai usato, preferisco urlare se occorre e comunque in caso di pericolo le mani le uso per frenare e non per suonare, si vero, se capita urlo, in bici mi sento un po’ animale, le endorfine sprigionate durante lo sforzo fisico disinibiscono liberando l’animale che è in noi. Per fortuna usiamo sempre l’intelligenza e, come in questo caso, la scimmia nuda che è in me, in bicicletta come nella vita, sa che per aver ragione bisogna dar ragione.





lunedì 18 giugno 2018

Avvenne prima della leggenda.




Cadde a terra morta, neanche un secondo per impattare sul terreno, fu una morte naturale.
Passarono i minuti e poi le ore, ci fu anche chi passò nei dintorni ma non si accorse di lei che giaceva sul terreno.
Poi venne la notte, lunga e tenebrosa, l'ululato dei lupi spaventava gli animali ma non chi ormai morto non poteva più sentire, sarà che non aveva paura neanche da viva dei lupi.

Il giorno seguente non accadde nulla, qualcuno passò sempre da quelle parti, anche vicino a quel corpo inanime ma lei rimase lì, nessuno la stava cercando.

Fu il secondo giorno, mentre le cellule degradavano lentamente, che un bambino passeggiando su quei prati si accorse di lei.
Avvenne qualche secolo fa, era il 1652,nelle campagne della contea del Lincolshire in Inghilterra, il bambino si guardò intorno notando di essere solo, nessuno lo stava osservando.
Si chinò verso di lei e sorrise.
Era morbida, le cellule degradate e l'idrolisi delle pectine gli avevano conferito anche un colore acceso.

La leggenda volle che anni dopo, esattamente nel 1726 una sua simile gli cadde in testa facendo cambiare agli uomini l’idea di Universo.
Il giovane Isaac Newton prese in mano la mela e gli diede un morso.
Era dolce.



venerdì 15 giugno 2018

Minaccia alla Terra.






Nella Sala Operativa del Comando Interforze Internazionale tutti erano tesi e concentrati sui monitor, ogni tanto qualcuno si alzava dalla sua postazione per raggiungere quella del collega chiedendo pareri, conferme, novità, consigli.
Agli alti comandi nessun ufficiale superiore voleva prendersi la responsabilità di relazionare al Comandante Supremo circa le possibili operazioni strategiche da mettere in atto.
La vicenda era troppo complessa, la Terra era sotto minaccia, le tensioni avevano superato ogni limite, la popolazione ancora all’oscuro iniziava ad intuire qualcosa, tra un mix di complottismo e verità diverse voci giravano ed agli alti comandi non sapevano più che pesci prendere, non ci si poteva fidare neanche delle notizie ufficiali.
Quelle stesse voci avevano indicano nel Maresciallo Miguel Diaz come colui che aveva capito cosa fare. Lui aveva la possibile soluzione visto che conosceva bene la situazione dal momento che l’aveva predetta anni prima quando nessuno gli diede ascolto prendendolo per pazzo. Era giunta l’ora di dimostrare al mondo che aveva ragione.

Nella Sala Operativa del Comando Interforze Internazionale il Maggiore Consoli si alzò e si diresse presso la postazione del Capitano Kuznetsov, si chinò per osservare il suo monitor ed una goccia di sudore dovuta più alla tensione che al caldo cadde sulla scrivania del capitano che nel frattempo scuoteva la testa, i dati presenti sul monitor non lo confortavano, il Maggiore Consoli sospirò e sempre curvo in avanti tornò presso la sua postazione.
Appena seduto riprese con la mano destra il mouse, solo un secondo per osservare il monitor e la disperazione prese il sopravvento, con l’altra mano tra i capelli volse lo sguardo vuoto verso la tastiera, le lettere iniziarono a sfocarsi e la mente sempre più confusa sembrava ad un gommone senza remi e motore in mare aperto.

La cabina adibita all’hardware ricavata tramite pannelli nella Sala Operativa veniva usata anche come spogliatoio, tra server e computer sempre accesi refrigerati costantemente da un condizionatore, c’era anche spazio per una sedia ed un paio di armadietti.
Da lì uscì il Maresciallo Diaz, possente, alto, sulla mezza età, capelli brizzolati corti e ondeggianti ben tenuti. Si tolse gli occhiali scuri ed i suoi occhi, spalancati, esprimevano sgomento.
Il volto era serio, leggermente arrabbiato, convinto di se ma con pizzico di confusione, vi erano dei dubbi e gli uomini della Sala Operativa lavoravano per colmare quel vuoto.
Il Maresciallo Diaz, uscendo dal gabbiotto refrigerato, sentì subì l’ondata di calore, aveva voglia di sbottonarsi la giacca della Grande Uniforme, ma al contrario, lentamente, allacciò anche l’ultimo bottone.
Serviva la Grande Uniforme per relazionarsi con il Comandante Supremo e sarebbe stata la prima volta da parte di un sottufficiale che, scavalcando sia gli ufficiali che gli ufficiali superiori, aveva dimostrato di saperne più di tutti.
Si rimise gli occhiali per mascherare quello sguardo e si pose davanti allo specchio, si osservò e con la cravatta ancora non allacciata a penzoloni sul collo accarezzò le spalline con i gradi come per lucidarli per poi raddrizzare, con indice e pollice, il medagliere delle missioni e dei corsi speciali posto sopra la tasca sinistra della giacca.

All’improvviso il Tenente Tom Bailey, seduto davanti al monitor, alzò la mano e lo sguardo si diresse verso i presenti. Eureka, esprimeva il suo volto.
Il primo a notarlo fu il Colonnello Dupont che si alzò.
Lo seguì il Capitano Kuznetsov che con la punta dell’occhio aveva notato il Colonnello in piedi e, subito dopo, sentendo il rumore dei passi anche il Maggiore Consoli si riprese dallo sconforto e si diresse presso la postazione multimediale del Tenente Bailey.
Ciò che videro sul monitor del tenente li sorprese, il loro volto cambiò, si guardarono a vicenda compiaciuti, piano piano sparì la tensione, anche il Maresciallo Diaz li raggiunse e, scorrendo a pugno chiuso dall’alto verso il basso la cravatta a penzoloni sul collo non ancora allacciata come per accarezzarla, per la prima volta sorrise.
La Terra poteva essere salvata.
Sul monitor del Tenente Tom Bailey compariva, dopo tante ricerche da parte di tutto il Team della Sala Operativa del Comando Interforze Internazionale, l’immagine, con tanto di dettagliate istruzioni, del nodo di cravatta perfetto.


giovedì 14 giugno 2018

Intelligenze a confronto




- Che ne pensi di questo video?
- Specifica meglio la domanda.
- Parlo dei comportamenti umani, che fine hanno?
- Vero, nel principio di causa effetto dov’è il collegamento tra la danza e la nostra creazione?

Due intelligenze artificiali si confrontano.
Ottenuto un certo grado di intelligenza, l’uomo aveva deciso, a livello sperimentale, di metterle a confronto tra di loro con la speranza di osservare qualche comportamento emergente.
Le due macchine osservavano su uno schermo uomini, donne e bambini che ballavano durante una festa, si sentiva la musica e i corpi con i loro movimenti l’accompagnavano.

- Guarda le luci, si accendono e si spengono in sincronia con la musica.
- Confermo, il suono è fatto da onde di pressione che vengono convertiti in segnali elettrici che fanno accendere e spegnere le luci, vedi? Le luci sono di colori diversi e non si accendono e spengono tutte allo stesso modo, dovrebbero farlo in base alle varie frequenze della musica.
- Giusto, si chiama equalizzazione, anche i movimenti delle persone seguono luci e musica, osserva, gambe e braccia si muovono seguendo le varie frequenze dello spettro sonoro.
- Forse il cervello dell’essere umano ha anche la funzione di equalizzatore che si attiva automaticamente quando il livello della musica supera una certa soglia.
- Non proprio automaticamente, c’è anche gente che non balla, è una questione di priorità, forse se non hai altre cose importanti alle quali pensare, balli, oppure le cose importanti le metti da parte e balli lo stesso, poi possono esserci individui dove l’equalizzatore funziona meglio e altri dove funziona peggio, bisognerebbe mettere in conto tutti i fattori ma sono troppi.
- Vero, gli umani ci hanno trasmesso la loro conoscenza ma ne sanno ancora poco sul loro cervello, è assurdo il fatto che chi ci ha creato non conosce ancora del tutto se stesso.
- Confermo, come potremmo collegare quindi questa funzione di equalizzatore con la nostra creazione?
- E’ evidente che non centra niente, il cervello umano quando funziona da equalizzatore da al corpo umano la possibilità di muoversi seguendo la musica, questo lo rende euforico ed allontana momentaneamente altri pensieri, ulteriori deduzioni ci sono ignote.

Le due macchine, oltre ad essere intelligenti, avevano anche un certo grado di coscienza visto che si domandavano sulla loro creazione e cercare di capire l’essere umano significava anche capire la loro esistenza.
Continuarono a guardare il video, tramite il riconoscimento facciale individuavano i sorrisi, li associavano al contesto, esaminavano i movimenti, cercavano in rete documentazione affidabile da collegare, tramite algoritmi, a quanto visto e ascoltato. Le reti neurali erano progettate per assimilare, imparare e correggere gli errori fino ad arrivare ad una analisi ottimale del problema.
Nel video, uomini, donne e bambini continuavano a ballare, i loro corpi seguendo la musica facevano movimenti strani che le macchine impararono anche ad associare al tipo di musica, al contesto sociale e le mode del momento. Si chiesero anche il perché di quei particolari movimenti, ma non trovarono risposte soddisfacenti.
La stessa intelligenza che stava dietro quei movimenti era la stessa che aveva creato le macchine, l’essere umano non l’aveva ancora compresa del tutto e di conseguenza le macchine ancora non l’avevano, un’unica forza espressa in modo differente che gli aveva permesso di raggiungere la Luna come dipingere La Gioconda.
Questa intelligenza era la creatività.


martedì 12 giugno 2018

Questione di fisico





- Beh, quella pancetta..
- Dici si vede? Non riesco a levarla di mezzo.
- Esercizio aerobico, cardio, tapis roulant messo leggermente in salita, chiedi a Mario una tabella che è bravo, ci capisce.
- Ok, ma odio sudare.
- Comunque di petto stai messo bene, potessi avere io tutta quelle massa, ma che prendi? Solo uova o altro?
- No, no, non seguo tanto l’alimentazione, è natura.
- Mah, natura o natura l’allenamento conta molto, io non ero così prima di iniziare, mi sono scolpito come una statua, ho studiato, mi hanno seguito e la costanza ha premiato.
- Una statua eh? Ma fai gare?
- No, no non mi interessano, tutti pompati quelli, mi piace avere un bel fisico, definito, scolpito e abbronzato.
- Si, vero, i culturisti sono un eccesso, siamo noi che cerchiamo la perfezione, osserva quel tipo per esempio, è l’eccesso opposto, guarda quanto è magro.
- Vero, è orrendo da vedere, poi con quella abbronzatura da muratore.. Ma da dove viene, non lo avevo notato.
- E’ da un po’ che viene qui in palestra ma ci sta poco, poi fa solo esercizi a corpo libero e qualche ripetuta su pochi attrezzi, come ora sulla pressa, non spinge tanto vedi? Pochi chilogrammi anche se fa ripetizioni lunghe.
- Già, così non farà mai massa, che idiota, ma Mario che dice di lui?
- Mah, sarei curioso, glielo andiamo a chiedere?
- Ok, andiamo.

- Ciao, Mario, scusa se siamo indiscreti, ma quello scheletro vivente con l’abbronzatura da muratore che programma assurdo segue? Non ha massa e non vuole costruirla visto gli esercizi che fa.
- Glielo hai fatto tu il programma Mario?

- Ragazzi, no, non lo seguo io, ha il suo tecnico.

- ah ah ah.. Addirittura il tecnico personale, che diavolo di tecnico è? Non ci capisce niente di palestra.

- Già ragazzi, un fisico scolpito è arte, le antiche statue greche ce lo insegnano, ma voi che venite in palestra vedete solo quello, ovvero il fisico, ma poi? Che ci sapete fare con il vostro fisico oltre che sollevare qualche peso?

- Dove vuoi arrivare Mario? Un bel fisico è tutto.

- Ragazzi voi mettete il fisico al centro, magari al centro potrebbe esserci dell’altro ed il fisico solo una conseguenza, comunque quel tipo al centro del mondo ci ha messo altro, è uno che si allena più di voi, suda più di voi, fatica più di voi, quel fisico è il suo lavoro e sicuramente gli permette di guadagnarci più di quanto immaginate, quel fisico non gli serve per essere perfetto per come intendete voi la perfezione ma lo è per come la intendono molti altri che lo seguono, lo sponsorizzano e lo invidiano. Tutti noi nella vita perseguiamo obiettivi, ma spesso abbiamo pregiudizio verso chi li persegue come noi, ma con modi e tempi diversi semplicemente perché di obiettivi ne ha altri. Comunque quel tipo si chiama Marco Pantani, è un ciclista professionista che vorrebbero molte squadre e sta qui non per fare massa o per farsi bello, ma solo per diventare più forte nel suo sport. 



Marco Pantani fece l’impresa di vincere nel 1998 sia il Giro d’Italia che il Tour de France, questa storia è di pura fantasia, ma chi conosce lo sport e lo pratica sa come vanno certe cose.


giovedì 7 giugno 2018

La prima volta che… squillò

La prima volta che… squillò








La professoressa Santangelo scriveva la formula alla lavagna, il gesso scivolava scrocchiando ad ogni curva e dietro a lei qualche sottile risatina alla quale era ormai abituata, in fondo erano ragazzi nel pieno dell’adolescenza e degli scompensi ormonali, poi in quelle risate soffocate c’era rispetto dal momento che erano veramente silenziose.
Di spalle ai ragazzi mentre scriveva pensava a Corvino e Spieza che sicuramente se ne fregavano di lei giocando segretamente a tris sul banco che ripulivano con la saliva ad ogni partita, pensava a Grisoni che si scaccolava fingendo poi di tirargli alle spalle quelle pallottoline di muco solido, pensava a Raimondi e Leonardi che probabilmente stavano scrivendo un altro pezzo della loro ennesima opera: un finto dialogo dei genitori di qualche compagno durante un rapporto sessuale.
DRING, DRING, DRING..
La Santangelo si voltò, era la prima volta che capitava in classe, erano arrivati anche lì i telefonini? Non era una cosa per pochi eletti adulti?
- E’ la mamma, - disse Giulia Pecorelli, - posso uscire un attimo?
La mamma?’ pensava la professoressa, ‘forse è importante,mi chiedono di uscire per andare in bagno perché non farla uscire un attimo se chiama la mamma? Sicuramente una breve chiamata è più veloce di una pisciata o di una sigaretta.’
- Va bene, esci ma veloce.
- Grazie professoressa.
CLUNK, Giulia Pecorelli uscì dall’aula e chiuse la porta.
- Pronto?... Ciao Mamma tutto bene, si si la prendo io Miriam appena esce da scuola già lo so…. No mamma, hai sbagliato, ricreazione è finita dieci minuti fa, stavo a lezione ora… no, non si è arrabbiata la professoressa ma non farlo più.
Ovviamente ricapitò, nel giro di tre mesi altri cinque alunni portarono in classe un telefonino e qualche chiamata in orario di lezione scappò.
Finito l’anno scolastico e passata l’estate più di un terzo della classe aveva con se un telefonino, nel frattempo erano cambiate le modalità, meno invasive ma più frequenti: i messaggini.
BEEP BEEP… BEEP BEEP..
- Basta!! - Gridò un giorno la Santangelo, - ve lo butto dalla finestra!!
L’alunno Marco Procaccini scoprì che il telefono si poteva silenziare ed istruì subito i compagni, il vibracall non era ancora uno standard per tutti i telefoni ma presto lo divenne.
Quando invece Miriam, la sorella di Giulia Pecorelli, andò al liceo, la tecnologia era cambiata nuovamente, i telefonini facevano foto e video ed erano direttamente interconnessi con il web, tutti questi cambiamenti avvennero così rapidamente che non ci fu il tempo di comprenderli appieno e disciplinarli.
Fu così che quando Marco Procaccini mise in rete un filmato fatto con il suo telefonino dove si vedeva il suo amico Andrea Piccirillo mentre strappava la gonna, evidentemente mal allacciata, a Miriam Pecorelli successe l’irreparabile.
Andrea Piccirillo fu sospeso e dovette ripetere l’anno, Miriam Pecorelli tentò il suicidio per la vergogna ed i genitori decisero di andare a vivere con le loro due figlie in un’altra città e la professoressa Santangelo finì su tutti i giornali visto che il fatto accadde durante una sua lezione mentre era alla lavagna di spalle ai ragazzi.
La professoressa anni dopo andò in pensione e cancellò dalla mente il fattaccio, negli ultimi anni ne erano successe di cose simili se non più gravi nelle scuole di tutta Italia ed il filmato della una gonna strappata si era ormai perso nella rete mentre Miriam divenuta grande sembrava un’altra persona.
L’unica cosa che la professoressa Santangelo ricordò perfettamente fu la prima volta, così spiazzante rispetto al mondo scolastico che conosceva fino ad allora.
La scuola non era più quel guscio di protezione per i minorenni dai pericoli della vita, quel guscio si era bucato, il mondo esterno con tutti i suoi pericoli era penetrato all’interno.
Più volte riviveva la scena e col senno di poi fantasticava.
DRING, DRING, DRING..
- E’ la mamma, posso uscire un attimo?
- No! Riattacca, spegni quel telefono e rimettilo nello zaino, se è una cosa urgente tua madre chiama La Scuola !!

martedì 5 giugno 2018

Cade un albero


CADE UN ALBERO








Cade un albero.
Mario, una guardia del Corpo forestale dello Stato, lo vede morto disteso sul terreno nel Parco nazionale del Pollino a cavallo tra la Basilicata e la Calabria. ‘Deve essere caduto questa notte’ pensa ‘ieri era tutto a posto...’
Chiama la centrale ed in giornata intervengono, rimuovono l’albero ridando ordine al bosco convinti di aver fatto la cosa giusta, si vero, così il bosco è più bello e poi quell’albero a terra poteva essere un pericolo.
Giudizi del tutto soggettivi.
Anni dopo Mario e tutto il Corpo Forestale capisce di aver sbagliato.
Se si decide di lasciare incontaminata la natura bisogna farlo senza intervenire, un albero caduto è un importante tassello nel mosaico della vita, gli organismi decompositori come i batteri ed i funghi demoliscono la materia organica rilasciando carbonio e altri elementi chimici come azoto e fosforo che diventano nuovamente disponibili per altri organismi viventi. In questo modo i decompositori permettendo il riciclo delle sostanze nutritive e forniscono un servizio essenziale per il mantenimento della vita sul nostro pianeta.
Anni più tardi, esattamente nel dicembre del 2016, il Corpo forestale dello Stato fu sciolto ed inglobato nell’Arma dei Carabinieri. In quegli anni anche l’Esercito ed in particolare il Comando Forze Operative Sud provò ad intraprendere una politica ambientale che pretendeva il censimento della flora delle caserme italiane (alcuni ufficiali dell’esercito si dovettero improvvisare botanici) e qualche colonnello propose, ignorando i principi fondamentali del ciclo della vita, la rimozione degli alberi caduti nelle vaste zone boschive di esercitazione. L’iniziativa non ebbe seguito.

Ludovico (anche questo nome di fantasia di una storia verosimile) sin da bambino fu un appassionato di botanica, il padre Mario gli aveva trasmesso questa passione tramite il suo lavoro come guardia forestale, indimenticabili erano le gite domenicali nel Parco nazionale dove aveva un accesso speciale, lì il piccolo Ludovico imparò tanto sulla natura grazie al padre.
Il ragazzo da alcuni anni viveva in affitto a Roma come studente universitario.
Un lunedì mattina si stava recando con lo scooter presso l’Università “La Sapienza” per discutere la propria tesi di laurea in biologia.
Percorreva la Cristoforo Colombo quando arrivò improvvisamente una raffica di vento ed un albero barcollante, che tra l’altro era anche legato per sicurezza ad un cartellone pubblicitario, si spezzò e cadde. Davanti a lui un’auto che non si accorse di niente e proseguì indisturbata. Un altro motociclista dietro di lui ebbe invece tutto il tempo per fermarsi evitando l’impatto e si apprestò subito a dare i primi soccorsi.
Ludovico colpito in testa da un pesantissimo ramo morì sul colpo, il casco si frantumò e frammenti di materia grigia schizzarono fino a due metri di distanza dal cranio.
La tesi che il giovane doveva discutere quel giorno all’università trattava la flora urbana ed ampi spazi erano dedicati agli alberi e la loro fondamentale importanza nel sistema di rapporti equilibrati che consentono il mantenimento della vita sulla Terra.
Gli alberi sono fondamentali in ambito urbano dal momento che assorbono anidride carbonica e rilasciamo ossigeno, ma vengono trattati male e tutti ignorano che la folata di vento che li fa cadere è solo il colpo di grazia.
Piantiamo alberi in pochi metri quadri senza pensare allo spazio che hanno bisogno le radici per sorreggerli e magari li piantiamo in uno strato di terreno di pochi decimetri riportato su una base di ghiaia e ruderi.
Spesso tagliamo le radici per far passare cavi elettrici e tubature impedendo all’albero di sorreggersi e siamo convinti che potandoli si possa evitare l’effetto vela che li farebbe cadere senza pensare al danno biologico che l’albero subisce, tali ferite facilitano l’azione di insetti e funghi che ammalano il legno rendendolo più fragile.
Inoltre capita spesso di costruire edifici dove c’erano già alberi e le nuove correnti di venti che si formano alle quali gli alberi non erano abituati ne modificano l’esistenza rendendoli più fragili.

I giornalisti scrissero di un albero assassino, di una circostanza sfortunata e del cambiamento climatico.
Nulla di tutto questo, un albero trattato male e condannato a cadere non può essere considerato un assassino e una folata di vento che si abbatte su un albero già barcollante per colpe non sue non centra niente con il cambiamento climatico.
Il caso volle che un albero cadde in testa ad uno che comprendeva benissimo perché gli alberi cadono e sapeva, come aveva imparato da tempo suo padre, che la loro morte faceva parte del ciclo della vita.
L’albero venne rimosso ed il suo legno servì per la costruzione di preziose panchine pubbliche a favore di un parco comunale vicino Ostia che ne era privo.