Un
neutrino aveva fatto centro, la particella elementare quasi priva di
massa era sfrecciata attraverso i sensori dell’IceCube, un
osservatorio di neutrini sepolto nei ghiacciai polari. Era un
neutrino raro con un’elevata energia; l’IceCube inviò
all’istante dati come giorno, ora, e direzione di provenienza dallo
spazio
ai centri di astronomia che si misero a scrutare il cielo in quella
direzione trovando
solo un piccolo lampo che, una volta analizzato,
purtroppo
non
aveva nulla a che fare con il neutrino.
La
direzione comunque
era
quella e solo un rilevatore di onde gravitazionali scoprì la
presenza di un blazar, un massiccio buco nero più distante del
lampo. Da
lì arrivava il neutrino.
I
radiotelescopi analizzando i raggi gamma notarono che quel lampo era
dovuto all’accelerazione di qualcosa di piccolo ma con tanta
energia diretto proprio verso di loro seppur ad una distanza enorme.
L’astronomia
multi-messaggero
basata su analisi ottiche, radioastronomiche
e gravitazionali piano piano riusciva a ricostruire l’accaduto
svelandone il mistero. Ogni
nuova scoperta astronomica era un altro tassello del puzzle, un passo
avanti nel capire l’universo, le sue leggi e l’origine
dell’esistenza della materia e della vita.
Puntando
verso quel lampo posto a più di 100.000 anni luce di
distanza -
che tradotto significava che
il fenomeno era
accaduto
100.000 anni prima
della sua osservazione-
trovarono
più avanti, sempre
nelle
vicinanze
del blazar,
una gigante rossa, ovvero quello
che era lo
stato
finale della
vita di
una stella di piccola o media grandezza,
probabilmente il lampo era partito da quelle parti.
Qualcuno
ipotizzò che tale
fenomeno
fosse
accreditabile ad
un’ipotetica astronave
in fuga da un
pianeta orbitante attorno ad una stella morente posta
in una
galassia
nella
sua ultima
fase
di vita perché
inghiottita dal suo massiccio buco nero centrale. Ulteriori
calcoli dimostrarono che quell’accelerazione tendeva verso velocità
di regime molto superiori alla velocità della luce e per le
conoscenze scientifiche ciò era impossibile.
Molti
sorrisero ma comunque,
presumendo
che quella direzione fosse sempre costante,
i
computer calcolarono
il luogo di
un possibile
atterraggio.
Risultava
in mezzo all’oceano, finanziarono
le ricerche e dopo
un anno, con
molta sorpresa, la
trovarono.
Con
l’analisi al radiocarbonio scoprirono che il
suo arrivo avvenne
90.000 anni prima,
con
cautela entrarono nell’astronave e videro al suo interno
i resti di quello che fantascientificamente assomigliava ad un
laboratorio di riproduzione di esseri viventi per
via asessuata mentre
sullo
sfondo della sala di comando notarono
un
enorme
disegno raffigurante il Sole ed i suoi pianeti: Mercurio, Venere,
Terra, Marte, Saturno, Giove, Urano, Nettuno e Plutone.
Nessuno
conosceva quella stella e quei pianeti.
Una
freccia indicava la Terra e riportava una scritta nella stessa
identica scrittura e lingua utilizzata dai ricercatori:
‘La
nostra galassia sta morendo e siamo partiti. Noi,
come
ora voi,
veniamo tutti
da
qui’.
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